Mini-dizionario del dopocrisi /1

Conte Giuseppe nuovadi Mario Meliadò - L'elenco dei nomi dei componenti del governo Conte-bis, ormai, li conoscete già tutti.

A questo punto, proviamo a vedere insieme a voi qualche spunto su cui riflettere, attraverso una sorta di "mini-dizionario del dopo-crisi".

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ANTIEUROPEISMO. Esatto: dov'è finito l'antieuropeismo, e per certi versi anche il sovranismo, del Movimento Cinquestelle? Può bastare il "senso di responsabilità" ad abradere persino il ricordo d'intese politiche che ad esempio, a Strasburgo, il M5S ha stretto nientemeno che col promotore principe della "Brexit" e già leader dell'Ukip Nigel Farage? Certo il governo Conte dava certezze in materia, ai propri sostenitori: l'idea era di cambiare radicalmente l'Unione europea (o, in subordine, di uscirne: ma questo è stato sempre sussurrato, detto sottovoce tranne forse che dall'ex ministro Paolo Savona, euroscettico per eccellenza). In teoria, in un Governo insieme al Partito democratico dovrebbe essere cambiato tutto (tanto che la critica principale al Conte-bis è di essere «figlio della volontà di Angela Merkel»); eppure resta proprio il tema delle scelte in àmbito europeo, in particolare a carattere economico, la principale insidia per il Governo "giallo-rosso".

BASILICATA. Sarà che è l'anno di Matera capitale europea della cultura, ma se la Calabria (vedi più giù) "resta a secco", invece la Basilicata incassa ben due ministri. C'è, intanto, il prefetto Luciana Lamorgese, di Potenza, che torna al Viminale che conosce particolarmente bene; solo, con ruolo diverso. L'ex prefetto di Milano (primo Prefetto donna nel capoluogo lombardo) ha infatti esercitato il ruolo di capo di gabinetto del ministro dell'Interno prima con Angelino Alfano e poi col reggino Marco Minniti; globalmente, peraltro, il neoministro potentino lavora per il Viminale ormai da 40 anni (dal 1979), inevitabilmente ha un profilo strettamente tecnico.

E poi c'è il concittadino Roberto Speranza: molto spesso citato come unico ministro di Leu (difficile però dimenticare il suo passato ruolo da capogruppo alla Camera per il Pd), anche il segretario nazionale di Articolo Uno (dal 6 aprile scorso: prima, era comunque coordinatore nazionale del partito) è originario del capoluogo lucano, anche se alle Politiche del 2018 è stato eletto non più in Basilicata ma in Toscana. A lui toccherà un compito particolarmente difficile, quello di fare il ministro della Sanità: nei fatti, andando a sostituire Beatrice Lorenzin, è proprio la sua nomina a chiudere rispetto ai cittadini calabresi la "trimurti" che ha visto all'opera negli ultimi anni – prima dell'avvento del generale Saverio Cotticelli e della sua vice Maria Crocco – l'ex commissario governativo per il Piano di rientro dal maxidebito in Sanità Massimo Scura e il suo vice del tempo Andrea Urbani. Si dirà: beh, se è per questo nel Governo ci sono quattro ministri campani e tre siciliani. Vero. Ma, "piccola" differenza, la Campania conta 5 milioni 800mila abitanti, la Sicilia 5 milioni, mentre la microscopica Basilicata centra un record da Guinness (anche nel senso della birra, per festeggiare l'evento): annoverare 2 ministri (su 21 in totale) in un Governo, a fronte di poco più di 560mila residenti in tutta la regione. E la Calabria? Resta "a secco", si diceva; ma, conforto assai parziale..., sono ben 7 (su 20) le regioni non rappresentate da alcun ministro in quest'Esecutivo.

CONFERME. Considerato che i ministri del Pd saranno tutti nuovi e che ovviamente la Lega non ha più suoi ministri, nel "Conte-bis" le uniche conferme rispetto al governo Conte potevano arrivare dal Movimento Cinquestelle. E dopo contrapposizioni al Pd in termini di punti programmatici, strizzatine d'occhio a Matteo Salvini e tentativi di sabotare ogni accordo persino facendo leva sull'indispensabilità (?) di due vicepresidenti del Consiglio, alla fine una delle conferme ha riguardato il capo politico pentastellato, Luigi Di Maio; non più vicepremier (appunto, non ce ne sono) né come ministro del Lavoro, ma agli Esteri. Resta non solo nell'Esecutivo, ma persino nella sua postazione da ministro della Giustizia Alfonso Bonafede; stesso percorso per l'apprezzato ministro dell'Ambiente, Sergio Costa.

DÈM. Nel silenzio generale sulle caratteristiche che dovessero rivestire questo o quel ministro dell'una o dell'altra forza politica alleata, il Pd ha rinunciato – così come Cinquestelle – ad avere uno dei due vicepremier, che sono stati sacrificati sull'altare della "ragion di Stato" e non più nominati, però è riuscito nell'impresa di far diventare ministri entrambi i vicesegretari nazionali del partito: una è Paola De Micheli, e il suo nome era ampiamente nella lista dei "papabili". Eredita un dicastero (Infrastrutture e Trasporti) su cui avrà gli occhi puntati dei suoi, visto che l'ultimo ministro di settore del Partito democratico era stato un "big" come il "braccio destro" di Renzi Graziano Delrio, ma anche di Cinquestelle di tutta l'opposizione, perché nel più breve tempo possibile dovrà cancellare le "imprese" di un Danilo Toninelli, da ministro almeno, non esattamente "indimenticabile". L'altro è una relativa sorpresa, il fin qui presidente del Copasir Lorenzo Guerini, che diventa ministro della Difesa. E proprio Guerini in Calabria, nell'ultimo anno, ha avuto una fitta presenza. Per esempio per "fare l'iradiddio", essendo tra i massimi referenti dell'area Martina dell'ala renziana del Pd, affinché alle Primarie dèm del 3 marzo scorso l'ex ministro alle Politiche agricole riscuotesse un significativo successo: e in effetti le cose andarono mediamente assai meglio rispetto al 20% raccolto su scala nazionale, col picco di un ottimo 33% conquistato a Reggio Calabria, a fronte di ben due liste pro-Zingaretti allestite, solo in Calabria, sostanzialmente per "contarsi".

E il segretario nazionale del Partito democratico, Nicola Zingaretti? Fin dall'inizio, il capo politico di Cinquestelle Luigi Di Maio – anche per puntellare se stesso – aveva chiesto che, come la volta precedente con Matteo Salvini, anche il Conte-bis fosse "garantito" dal leader nazionale del partito alleato "mettendoci la faccia" direttamente, entrando nel Governo da ministro. Ma Zingaretti non poteva farlo, o meglio: fosse entrato nella squadra di Giuseppe Conte, avrebbe dovuto abbandonare la Presidenza della Regione Lazio (determinandovi, tra l'altro, elezioni anticipate).

EMOZIONI. Contrastato fino all'ultimo, questo Conte-bis: quasi alle 2 della notte fra il 3 e il 4 settembre, ancòra a colpi di sms si certificava che «è saltato tutto». Poco dopo, gli sherpa della mediazione si sono rimessi al lavoro e hanno suturato tutti gli "strappi": solo il tempo ci dirà se è stato meglio. Certo però, quanto a "emozioni" non si possono neppure dimenticare quelle dei violentissimi scontri del passato tra i massimi dirigenti del M5S (si vedano Beppe Grillo e Alessandro Di Battista per tutti) e quelli del Partito democratico (Matteo Renzi, ad esempio, è stato sempre durissimo su contenuti, personale politico e metodi del Movimento Cinquestelle): questo il motivo principe che a una porzione d'elettorato pentastellato proprio "non fa andar giù" l'alleanza col Pd.