Il Comune di Siderno sciolto per infiltrazioni della 'ndrangheta, il Consiglio di Stato conferma: "Rapporti con esponenti cosche locali"

siderno-comunedi Mariateresa Ripolo - Sciolto per infiltrazioni della 'ndrangheta nell'agosto del 2018, il Comune di Siderno era ai tempi guidato dall'ex senatore Pietro Fuda, eletto nel maggio del 2015. Lo scioglimento era stato disposto dal Ministero dell'Interno «sull'assunto che l'amministrazione sarebbe stata condizionata da forme di ingerenza della criminalità organizzata, compromettendo il buon andamento e l'imparzialità dell'attività comunale». Dopo la sentenza del Tar del Lazio che aveva confermato la decisione, arriva adesso anche quella del Consiglio di Stato, che si è espresso a seguito del ricorso presentato lo scorso dicembre dagli ex amministratori. Non poche le motivazioni a supporto della decisione del Viminale: nella sentenza si parla, infatti, di una serie di elementi "concreti, univoci e rilevanti".

«Lavori, servizi, concessioni demaniali ad imprese già attinte da interdittive antimafia». Il Ministero dell'Interno, dopo il monitoraggio svolto nei confronti dell'Ente, aveva rilevato irregolarità nella gestione di lavori che di fatto erano stati affidati ad imprese «legate ad esponenti di famiglie malavitose locali, ricorrendo al metodo dell'affidamento diretto, previo artificioso frazionamento del valore degli appalti, in assenza o tardiva adozione delle determine a contrarre e con omissione dell'espletamento dei doverosi accertamenti antimafia nei confronti delle ditte aggiudicatarie». Ad esempio «tra giugno 2015 e luglio 2017 l'ente locale ha disposto 21 affidamenti diretti del valore complessivo di 35.000,00 euro» a un'impresa edile collegata, tramite rapporti di parentela, a membri della famiglia Commisso. E poi ancora: altri undici affidamenti diretti ad una società attinta da interdittiva antimafia nel 2013, ombre sulla gestione del Centro polifunzionale, del Palasport, sulle concessioni demaniali relative all'uso di spiagge, chioschi ed altre attività.

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«Legami tra amministratori ed esponenti delle cosche locali». Nella relazione presentata dal Ministero dell'Interno, oltre alle attività svolte dall'Ente a livello di gestione, si fa particolare riferimento anche ai "rapporti di parentela e frequentazione tra amministratori ed esponenti delle cosche". «Dati oggettivi - si legge - che mettono in evidenza la vicinanza – quanto meno come legame parentale – tra detti consiglieri e la malavita». Una circostanza che non ha determinato in modo diretto lo scioglimento, ma che - viene sottolineato - ha influito concretamente sulla decisione: «Essa costituisce piuttosto un dato che ha reso più netta la significatività e rilevanza dei plurimi indizi contestualmente indicati dalla commissione d'accesso».

Sospetti circa l'inattività sul fronte "Beni confiscati alla criminalità". Altro tassello fondamentale è quello riguardate «la mala gestio dell'amministrazione Fuda» in relazione a immobili confiscati che l'Amministrazione avrebbe dovuto destinare alle finalità sociali e istituzionali previste, circostanza che, di fatto, non si sarebbe verificata. «Una inoperosa attività», viene definita, che «avvalora - secondo l'organo presieduto da Franco Frattini - l'asserita grave inefficienza dell'ente locale nello svolgimento delle comuni attività amministrative».

Una serie di circostanze che rendono «condivisibile - si legge nella sentenza del Consiglio di Stato - la conclusione alla quale è pervenuto il Tar del Lazio secondo cui anche tali affidamenti possono ritenersi di per sé indicativi di condizionamento mafioso». Una sentenza che «non è dunque viziata, come affermano gli appellanti, per manifesta illogicità». «Ai fini preventivi può bastare - viene sottolineato infine nella sentenza - anche soltanto un atteggiamento di debolezza, omissione di vigilanza e controllo, incapacità di gestione della macchina amministrativa da parte degli organi politici che sia stato idoneo a beneficiare soggetti riconducibili ad ambienti controindicati»